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UNIT         : FOX ELECTRONICS 508-V01

CODENAME     : THE MONOLYTH

TIME UPDATING: 27.07.10 17.33 CET

CODENAME     : LUNA DI VENEZIA

PAGE         : 100727

CHECKSUM     : OK

 

READING… 

 

 

 

 

LUNA DI VENEZIA

 

A volte sogno e realtà si mescolano in una maniera talmente confusa che tu non distingui più cosa è vero e cosa è un sogno. - di Lola Fox

 

 

Quel giorno lei compiva gli anni: sarei andato a prenderla nel pomeriggio per poi andare a festeggiare assieme. Avevo comunque organizzato tutto, senza dirle nulla, per farle una grande sorpresa, la migliore che potesse ricevere per questo giorno. Ero in anticipo sui programmi di qualche mezzoretta abbondante, quindi nel primo pomeriggio decisi di andare a fare un sonnellino  per poi poter essere meglio riposato per la sera.

Ma sopraggiunse la nebbia...

 

L'ANGELO CUSTODE DICE

 

Quando improvvisamente si diradò. la cosa si fece chiara: davanti a me una stretta e serpeggiante stradina di campagna dove non potevi che viaggiare a 30 km/h. Al mio fianco c'era la Luna bellissima come non mai, che mi sorrideva felice, trasmettendomi quelle strette al cuore tipiche di chi ha molte emozioni in corpo. I suoi occhi brillavano di gioia come brillano a chi ha gli occhi dell'amore. Sul sedile posteriore giaceva un mazzo di sette rose rosse, lunghe, profumate e vellutate, avvolte e strette da un nastrino in una carta goffrata fucsia come il colore di questi caratteri, uno dei colori preferiti della Luna. Ad un dato momento l'auto si fermò, permettendoci di parcheggiare sull'erba tagliata a raso all'ombra dei cipressi, l'ombra di una fresca giornata in piena estate dove il sole alto ti scalda si, ma senza violenza. Immersi nel silenzio più totale, rotto solo dai grilli, delle cicale e dal calpestio sulla ghiaia, con il mazzo di rose in mano entrammo a piedi nel grande cancello che portava all'Angelo Custode, l'angelo che mi ha sempre protetto contro le quotidiane insidie della vita, che mi ha sempre consigliato su cosa fare e a cui sono sempre andati i miei pensieri privati. Era lui che, mi aveva suggerito di andare a Venezia.  Già, a Venezia... Ma perché ? Dovevo festeggiare il suo compleanno, perché mai sarei dovuto andare a Venezia? Mentre cercavo tra me e me le risposte, il sole si oscurò e tornò la nebbia grigio-azzurra che mi confuse, isolandoci dal contesto. E solo quando poco dopo si diradò, iniziai a vedere e a sentire qualcosa.

Il motore dell'auto si accese e noi potemmo riprendemmo il nostro fantastico e un po' misterioso viaggio  verso Venezia. I km scorrevano veloci sull'asfalto, la musica suonava morbida nell'auto, le sue dolci parole facevano da contorno ai suoi occhi neri sorridenti e radiosi. Ci fermammo ancora, 5 minuti, ma solo perché lei aveva sete: estrassi una fresca bibita dal mio frigobar e la bevemmo a quattro mani in un brindisi all'unisono, poi di nuovo via! Alle porte di una sconosciuta città, ancor prima di vedere il cartello del nome della località, si fece di nuovo viva la nebbia. Un forte ed intenso banco ci avvolse ancora e tutto piombò di nuovo nell'oscurità. Mi sentivo completamente perso: non sapevo dov'ero. Il navsat dava inspiegabilmente indicazioni a caso, a random: le strade e gli incroci non combaciavano con ciò che mostrava il display. Sembrava che fosse come impazzito. Anche il tachimetro dell'auto oscillava come un matto come fa la bussola delle navi nei film sul Triangolo delle Bermuda: sembrava che battesse il ritmo della musica, su e giù, su e giù, piuttosto che segnare con precisione l'effettiva velocità. Siccome tutto era confuso e offuscato dalla nebbia guidavo a passo d'uomo, svoltando a caso per i vari incroci, dato che non sapevamo dove ci trovassimo.

LA LUCE VERDE DICE

Improvvisamente dal grigiore, proprio innanzi a noi, spuntò una forte luce verde. Pareva quella di una locanda, trattoria o ristorante, messa lì proprio solo per noi. Effettivamente l'edificio sembrava si una locanda, ma fantasma: era praticamente vuota, e non si sentiva nessun rumore provenire dal locale, come se  fosse vuoto. Che fosse davvero lì solo per noi? D'improvviso una lontana musica proveniente dal suo interno ruppe il martellante silenzio iniziando un sottofondo a quel misterioso posto che abbagliava solo di luce verde. Decidemmo di fermarci e vedere se si poteva mangiare qualcosa: il viaggio lungo ci aveva messo un po' di fame. Trovammo parcheggio sul retro, ma non riuscii a credere ai miei occhi quando vidi il parcheggio praticamente pieno di auto. Dovetti manovrare parecchio per riuscire a collocare la mia vettura in posizione corretta. Quello che non mi spiegavo era perché un locale apparentemente vuoto di gente aveva il parcheggio pieno di auto. Dove sarebbero stati tutti, se il locale era vuoto ? E soprattutto non capivo perché il giardino del ristorante, dov'era possibile mangiare all'aperto, non fosse in collegamento col parcheggio. Sempre in mezzo alla fitta nebbia quindi, iniziammo il lungo giro esterno attorno all'edificio, per cercare l'entrata principale, che trovammo solo dopo un lungo e incessante contorto girovagare.

L'interno sembrava quello del disco volante di "Incontri ravvicinati del III tipo": era tutto vuoto ma pieno solo di una diffusa luce verde. Per l'emozione, quasi una malcelata paura per un posto tanto strano e misterioso, non ci fermammo ma proseguimmo per un lungo corridoio contornato di strani tavoli. Sembravano i simboli di certe antiche carte da gioco o di esoterici tarocchi. Procedendo sempre dritto fino in fondo alla luce verde, mentre velavamo tutti i tavoli rigorosamente vuoti, arrivammo al giardino estivo sul retro. Ci sedemmo e cercai di guardare l'orologio per darmi un orario, ma oltre che a non sapere minimamente dove fossimo, non riuscii nemmeno a dare un tempo alla situazione. Cercando risposta nel mio polso un brivido mi percorse la schiena: sul quadrante dell'orologio mancavano le lancette. Provai a portarlo all'orecchio ma era completamente silenzioso: non ticchettava. Aveva perso il suo battere. Come se il tempo si fosse fermato. Sgranai ripetutamente gli occhi cercando una prova in un qualche orologio nel locale in cui ci trovavamo. Effettivamente ne vidi uno appeso alla parete. Ma anch'esso era senza le lancette. Rabbrividii: era impossibile, ma il tempo si era davvero fermato.

Ricordo che ero molto agitato e per provare a calmarmi guardai la Luna che avevo di lato, al tavolo, cercando in lei tranquillizzanti spiegazioni.  Ma non disse nulla: si limitò a sorridermi come a dire "non ti preoccupare, và tutto bene". Che fosse stata lei la strega con le parvenze da fata a far fermare il tempo? O forse tutto ciò era più logicamente correlato a chissà quale misterioso fenomeno connesso coi campi magnetici terrestri e con la misteriosa nebbia? Chissà... Nel frattempo arrivò la cameriera, una ragazza col grosso pancione, segno dell'imminente nascita di un piccolo. Subito mi balenò un'idea: probabilmente parlando con lei, ponendogli domande, avrei chiarito qualcuno dei misteri che mi stavo portando addosso ad esempio in quale località fossimo.  Se non altro l'accento con cui avrebbe parlato mi avrebbe potuto dare una prima indicazione del luogo.

Ma tutto si vanificò quando ci diede i due librettoni del menù, e senza dir nulla, andò via quasi frettolosamente.  Scomparve proprio in mezzo alla luce verde. Sembrava che non volesse parlare con noi, o forse noi per lei eravamo solo persone sconosciute o fastidiose. O probabilmente era solo parte integrante di tutto questo mistero, una sorta di pedina nel gioco. Aprimmo il menù, ma ancora un nuovo brivido mi scorse giù per la schiena: le pagine erano tutte bianche. Pazzesco! Ma cosa diavolo significava? Stralunato guardai ancora la Luna ma lei continuava a sorridermi. Sembrava quasi lei la direttrice del gioco. Ero confuso e non ci stavo capendo nulla. Ad un dato momento lei iniziò a leggere: primi... secondi... pizze... dessert... bevande... Tra me e me mi chiesi cosa stesse leggendo dato che il menù era vuoto. O almeno il mio lo era. Il suo non so. Guardandola di nuovo mi accorsi che aveva gli occhiali da vista. E allora? Li avevo pure io, ma le pagine sempre vuote erano. Ebbi il sospetto che fossero i suoi occhiali, apparentemente normali, a permettergli di leggere dove io non vedevo nulla dato che sbirciandolo, anche il suo menù era composto da pagine tutte bianche.

Di ciò che lesse, trovammo di buono un filetto di carne con verdure crude e un buon vino. Ma al momento del dessert, la Luna rifiutò ogni  dolce, richiedendo un liquore speciale, il Barr903. Il Barr903? Ma cos'è? Trovai strano che una persona sempre così dolce, rifiutò proprio... un dolce. E perché mai poi ordinare quello strano liquore dal nome a metà tra un codice postale e una password? Sembrava quasi la magica parola di un rito fatato, come se tra streghe, lei e la cameriera col pancione, ci si accordasse per la pozione da somministrare a qualcuno. E se per caso fossi stato io il predestinato al rito, cosa stavo rischiando? Rifugiai tuttavia ogni dubbio e ordinai una crema catalana. La cameriera mi guardò, sempre nel più totale silenzio e senza una mossa oltre, se ne andò. Sembravano quasi d'accordo per farmi preparare chissà quale strana alchimia. Ma la Luna continuava a sorridermi. Dopotutto io non avevo letto nulla dal menù: aveva letto tutto la Luna. Che fosse stata davvero d'accordo con quella strana ragazza in cinta e completamente muta per chissà quale rito? Magari, dal sorriso, sarebbe potuto essere anche un rito piacevole, benaugurante. Chissà...

Arrivarono liquore e crema ma la Luna mi impedì di raggiungere il mio cucchiaino: lo prese lei e iniziò a rompere la crosticina caramellata della crema catalana, come se il rito magico fosse già iniziato. Io la guardavo sempre più con stupore senza capire cosa stesse tramando. Spaccò il caramello di superficie in tante piccole briciole e dopo avere assaggiato il primo boccone, mi porse il secondo. Poi ne prese uno per se e poi ancora uno per me. Poi di nuovo a lei e a me, lei e me. Mangiai la metà della crema, abbagliato dal suo magico fare. Non riuscivo a reagire. Non riuscivo a porre domande. Sembravo incantato. Ero abbagliato dai suoi occhi neri e profondi, truccati all'insù nel pieno della luce verde. Proprio da strega. Mi sentivo strano. E infatti arrivò di nuovo la nebbia. Cosa mi stava succedendo?

SENZA TEMPO: rapito

Solo quando per l'ennesima volta la strana nebbia se ne andò, potemmo ripartire per Venezia: dopotutto era la che l'Angelo Custode aveva detto di andare. Improvvisamente l'auto nella notte sembrava sapere da sola dove andare. Io avevo anche rischiato di sbagliare strada, ma l'auto sembrava conoscere dove dirigersi, evitandomi di curvare per gli incroci errati. Fino a che ci ritrovammo nel grande parcheggio grigio. Ovviamente apparentemente deserto. La sbarra magicamente si alzò da sola permettendoci di entrare, ci diede automaticamente un biglietto d'ingresso e poi si richiuse alle nostre spalle, impedendoci di tornare indietro. Mi sentivo come se fossi stato sempre più preso in trappola o in un vortice magnetico, anche se non ne capivo i rischi. Parcheggiammo lì, subito a destra nel 3 buco vuoto, che sembrava proprio attendere noi. Ed infatti in tutto il parcheggio c'erano effettivamente solo altre due auto. Cercai ancora spiegazioni di tutto ciò in ciò che avevo tra le mani guardando il biglietto d'entrata che aveva una grande S simile al segno del dollaro $ ma riflesso alla rovescio come se fosse vista allo specchio. Uno strano simbolo, forse correlato ancora una volta ad un magico sortilegio. A fianco dello strano simbolo solo 3 parole: Venezia Tronchetto Parking. Bah... Che strano nome... Sbirciai anche il codice a barre sotto, domandandomi se anch'esso fosse stato una sorta di magica sequenza numerica o a barre ma non mi diedi risposta. Spaesati ci spostammo cercando l'uscita pedonale. Era tutto pieno di porte tagliafuoco ma nessuna portava all'uscita pedonale. Ogni volta che aprivo una porta, ci trovavo un muro dietro. Ma perché fare delle porte tagliafuoco davanti a dei muri? Aperta l'ennesima, trovammo finalmente una sorta di passaggio, come se fossimo in un gioco a labirinto. Eravamo in un locale cieco cioè senza uscite, vuoto ma con una grossa apertura laterale sul pavimento, dentro la quale a fatica si intravvedeva il fondo buio. Per discendere nell'apertura bisognava scavalcare il parapetto metallico e usare la scaletta in ferro ancorata alla parete, simile a quelle di servizio per salire sugli alti pali dei riflettori degli stadi. Chissà dove portava quell'apertura sotterranea? E cosa mai ci fosse stato la sotto?

Tornammo indietro e finalmente tra tante porte cieche, individuammo quella che conduceva verso l'uscita del parcheggio. Che in realtà non era l'uscita del parcheggio ma la continuazione del parcheggio stesso. Un parcheggio a forma di corridoio lungo lungo quasi infinito, che portava verso la laguna. Un interminabile luogo di silenzio come fuori dal ristorante con la luce verde. Anche qua però c'era una luce verdognola: era quella emanata dai neon che sembrava fossero li solo per illuminare noi due e nessun altro. Guardai ancora l'orologio ma mancavano ancora le lancette. Il tempo era ancora fermo. Giungemmo alla laguna e all'imbarcadero: deserto. Avevo una strana impressione, come se tutto fosse pronto per un determinato e ben preciso evento, come nell'attesa che succeda qualcosa di grandioso. Anzi, l'impressione era che questo qualcosa fosse già iniziato fin dal ristorante verde in concomitanza con l'orologio senza le lancette e i menù con le pagine completamente bianche.  Come se qualcosa di surreale stesse per realizzarsi.

Dall'altra parte del larghissimo canalone della laguna c'era una enorme nave da crociera ormeggiata. Grandissima e altissima. Forse più di un palazzone di 10 piani. Era completamente illuminata con la fila di luci di bordo sagoma che da centro prua andavano a centro poppa passando dal centro dai camini di scarico. La cosa più incredibile era ancora questo incredibile silenzio. Sebbene fosse distante 100 metri circa, non giungeva nessun rumore, come se la nave fosse fantasma. Forse lo era davvero, o forse io ero in un posto fantasma. Cercammo indicazioni per la biglietteria automatica: invano. Non c'era nessuna biglietteria. Ne manuale e ne automatica. E nemmeno indicazioni. Solo un totale silenzio nel buio della notte, interrotto dalle luci dell'imbarcadero che ondeggiava a ritmo di marea. Interrotto dalla nave fantasma alla fonda. Interrotto dalle luci in lontananza della città lagunare, probabilmente fantasma anch'essa. Dopo un po' mi ritrovai vicino a me un passante: non capii da dove fosse sbucato, tutto era deserto. Aveva delle strane cassette di legno che depositò a terra sul pavimento ondeggiante in attesa del battello. La mia Luna gli chiese della biglietteria ma lui non disse nulla scuotendo solo la testa in segno di "no". Forse era straniero e non capiva l'italiano. La Luna mi guardò e sorridendo mi disse che i biglietti venivano fatti a bordo, che lui era di Venezia e che non era contento per nulla di stare in questa città. Che se avrebbe potuto se ne sarebbe andato subito ma non poteva farlo. Come cavolo ha fatto la Luna a sentire queste parole se il personaggio manco aveva aperto bocca? E poi... "se avrebbe potuto se ne sarebbe andato ma non poteva farlo"? che senso avevano queste parole? Cosa significavano? Forse che Venezia prima ti prende, poi ti strega e infine ti rende suo schiavo non permettendoti più di andartene? Dopotutto il tempo era sempre fermo...

Il battello fracassone arrivò rompendo il silenziop, ci imbarcò e borbottando ripartì. Subito il bigliettaio mi diede 2 biglietti di viaggio: due tagliandi verdi. Lo stesso verde del ristorante nella nebbia. Ma quando tentai di estrarre il denaro dalle tasche, mi bloccò indicandomi che non voleva denaro. Il tutto, ovviamente, oramai c'ero abituato, senza dire una parola. Sui biglietti vi era una bizzarra scritta: ACTV. Forse era un ulteriore segno magico del fato, un ennesimo messaggio criptato che ti metteva sul chi va la. Un misterioso presagio: ACTV forse come una oscura sigla del tipo: "Attento Che Ti Vuole", un altro avvertimento che Venezia ti rapisce e non ti lascia più. Come aveva lasciato dire il personaggio all'imbarcadero. No, non può essere. Tutto ciò è pazzesco. Ma dove sono davvero ? Qual è il significato di tutto ciò?

SENZA TEMPO: paesaggi incantati

La Giudecca col buio sembrava ancora più grande. E poi San  Basilio, che con le tenebre prendeva quell'incredibile strano enigmatico alone, la Basilica del Redentore e San Giorgio, illuminate dai grandi fari davano una visione onnipotente e onnipresente sulla laguna. Infine San Marco, che nella notte sembrava quasi volesse raccontarti i segreti di migliaia di anni di storia. Scendemmo a San Zaccaria, e sempre mano nella mano, passando a fronte del Ponte dei Sospiri, arrivammo nella grande piazza centrale. La torre della Basilica dei Mori non aveva nessun orologio, segno evidentemente che il tempo era ancora fermo. Da lì Venezia iniziò a raccontarsi. Non prima che, nelle vesti di un operatore sbucato dal nulla, del palco allestito per il balletto sulla piazza in programma il giorno dopo, ci segnalò ridacchiando che stavamo andando dalla parte sbagliata. Dalla parte sbagliata per cosa? É evidente che ci fosse un tragitto predestinato. Chi aveva organizzato tutto questo? Forse la Luna? Al solo pensiero l'ennesimo brivido mi scorse per la schiena. Guardai ancora la Luna cercando le solite  spiegazioni nel suo sguardo ma lei continuava a sorridermi. Forse sapeva già tutto fin dall'inizio.

Passeggiavamo in silenzio per calli e sottoporteghi a caso, ma i nostri occhi erano impegnati a parlarsi. A sorridersi. Poi ancora ponti, poi un altra calle, poi un altro ponte, poi un rio, un altro sottoportego un altro ponte ancora, un campo e una salizada. Il silenzio era incredibilmente irreale. Continuo. Incessante. Gli scorci cittadini che via via si susseguivano innanzi a noi ad ogni svolta, davano una visione sempre nuova e inaspettata della città. Piazzette dove il tempo sembrava essersi fermato da sempre,  canali sormontati da ponti che visti di profilo sembravano tutti in fila lì per guardarci. Ponti assolutamente deserti come se stessero attendendoci. Cieche calli che con tre scalini immettevano direttamente in inaspettati canali, sotto inaspettati ponti, dietro inaspettati angoli tra inaspettate case in cui nessuno sembrava respirare o dormire o abitare. Solo i vasi dei fiori fuori dalle finestre testimoniavano la vita umana, probabilmente celata dai sonni notturni dei veneziani di laguna.

Improvvisamente, nel nostro lento e costante procedere, si aprì davanti a noi la grande laguna con Murano dietro San Michele, dietro gli imbarcaderi di Fondamente Nove. A destra la fondamenta continuava verso le larghe scale del ponte Donà dalla cui cima era possibile sentire tutta la brezza notturna della laguna estiva delle calende di luglio. In quella sosta si incrociarono mille sguardi, mille sorrisi, mille emozioni, mille sensazioni, mille silenziose parole, mille promesse, mille abbracci, mille baci accarezzati anche dal vento estivo che soffiava delicato. Ancora ulteriori quattro passi e quasi in un baleno, calle dopo calle, campo dopo campo, intravedemmo il maestoso Canal Grande, da cui potemmo poi riprendere il battello di ritorno al parcheggio, sotto passando un susseguirsi di ponti, cavalcavia fluviali e teleferiche a monorotaia le cui ombre davano ancora più magia a tutta l'atmosfera. Poi di nuovo al parcheggio fantasma, lungo lungo, deserto deserto, illuminato illuminato.

RITO FINALE

Il motore si riaccese di nuovo e l'auto riprese a muoversi a caso per le strade adiacenti fuori dal parcheggio. Improvvisamente sentii dentro di me di sapere dove andare. Eh si, tutto ad un tratto mi vennero chiari i ricordi di ciò che mi aveva suggerito l'Angelo Custode. Ma l'orologio del cruscotto era sempre bianco, senza numeri. Attraversammo tutta la zona portuale di Marghera fino al giardino incantato di Fusina, che nel cuore della notte è ancora più spettrale ma tanto affascinante. Li si sarebbe dovuto compiere l'epilogo finale della lunga Serenissima notte. Così aveva sancito l'Angelo Custode. Il giardinetto di Fusina sembrava seducente tra buio, solitudine, isolamento, affacciato così prepotentemente in laguna. Anch'esso era li ad aspettare solo noi. Noi... Io... col mio apparente disprezzo verso ciò che non mi apparteneva, verso cioè un codice della strada teoricamente uguale per tutti che imponeva regole di parcheggio uguali per tutti. No, niente più regole di parcheggio per questa notte che sta quasi scappando e entro breve tutto si compirà. Niente più regole stradali uguali per tutti. Questa notte io non sono come gli altri. Questa notte sento che sarà la mia notte, o la nostra notte. Lasciammo l'auto lì al limite del giardinetto, in zona off-limits se solo fosse stato giorno. Presi per mano la mia Luna, presi il resto, l'occorrente, e corremmo verso l'angolo più remoto del giardinetto, quello più affacciato sulla laguna. L'angolo più in mare era anche quello più lontano dal nostro mondo reale, da cui quasi rifugiavamo, l'angolo in cui compiere il rito finale come aveva sancito l'Angelo Custode.. Estrassi le fragole, fresche, squisite, e con un unico rosso cucchiaino iniziammo a mangiarle, imboccandoci a vicenda come se ognuno di noi avesse il compito di nutrire l'altro. A turno una fragola io e una lei, una io e una lei... fino alla fine. Poi, tzzz... il tappo del Rotary Rosè schizzò. Fuori i calici in cristallo azzurro e quindi, sotto una luna piena che scaldava la laguna, e anche la mia Luna, una luna parecchio sorridente alla Luna, facemmo un brindisi. Sotto la nostra luna veneziana di fragole veneziane e spumante veneziano.

Prima di venir via dall'ultimo dei posti incantati e magici, lasciai nell'angolo del giardinetto la testimonianza del nostro amore: un cartellone scritto a vernice rossa "I love Luna". Eh si, tutti dovevano sapere o almeno immaginare cosa era successo in questa magica notte. Tutti dovevano sapere quanto la mia Luna fosse importante per me. tutti dovevano sapere cosa avevo da urlare al mondo. Un enorme brivido mi pervase, un forte calore si levò dal mio cuore che batteva forte. Tutto si trasmise fino al mio polso sinistro anch'esso battente. Non capii e lo guardai stupefatto: l'orologio al mio polso aveva di nuovo le lancette che segnavano le 4:30. Il tempo aveva ripreso a scorrere. Tutto stava finendo. Anzi, era già finito. La notte volgeva al termine e il rito si era compiuto. Così come Cenerentola in lotta contro la mezzanotte, io altrettanto lo ero contro l'alba. Tutto si sarebbe per forza dovuto ultimare prima che la luce del giorno risalisse all'orizzonte, altrimenti la mia Luna come avrebbe fatto a risplendere per sempre?

L'ennesimo avviamento dell'auto che rifece tutta la strada a ritroso verso casa, tanti km di asfalto sotto le ruote, per poi rientrare e preparare finalmente un gustoso primo piatto alla Luna affamata dalle lunghe camminate veneziane. Un primo piatto meglio di cento colazioni di cappuccini e brioche. Un po' di riposo e poi via di nuovo verso la sua casa in campagna, da dove tutto era partito. Ma proprio subito dopo che la lasciai a casa sua, ritornò di nuovo la nebbia. Questa volta fortissima, fittissima, come mai prima, impossibile per vedere qualsiasi cosa. Anche il volante della mia auto. E fu proprio a causa di essa, che ad un semaforo un tir sbucato dal nulla e senza nessuno alla guida proveniente da sinistra e passando col rosso, per poco non mi prendeva in pieno. Negli istanti che seguirono, per lo spavento mi prese una strana emozione alle gambe, poi alle braccia e infine anche alla testa e in tutto il corpo. I miei occhi sprofondarono persi nella nebbia che mi avvolgeva sempre più. Riuscii a capire qualcosa solo quando con grande fatica riaprii gli occhi: mi trovavo nel mio letto, solo. Buttai lo sguardo al cielo laddove l'orologio, senza lancette ma con i display digitali, proiettava l'orario: le 15:30. Mille domande invasero il mio frastornato e ancora rincoglionito cervello. Accidenti, ma quanto avevo dormito ? E il compleanno della mia lei che ne era stato ? Perché non mi aveva telefonato nessuno ? Dov'era il mio cellulare dato che sul comodino non c'era ? Forse non lo avevo sentito oppure era spento? O forse avevo sognato tutto, anche il compleanno della mia lei? E la Luna di Venezia? Che ne era di quella incredibile notte, dei suoi occhi neri, del ristorante verde, delle sigle misteriose sui biglietti, la nave fantasma, le calli, il rito al giardinetto con le fragole e lo spumante, la cenetta a casa mia, il tir senza nessuno a bordo... Ma che cosa avevo preso prima di dormire, che non ci capisco nulla? Anzi... qualcosa capisco, ricordo. Qualcosa di un sogno che mi è rimasto dentro... La notte... La luna... Il silenzio... Venezia e le sue piazze deserte... I suoi occhi... Il suo sorriso... La mia Luna...

Ma che razza sogno è stato...???

 

LOLAfox - VENTIsetteLUGLIOduemilaDIECI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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